Giona, il pių sovversivo dei profeti |
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martedė 16 dicembre 2008 | ||||||||
Seconda tappa (delle sei in programma) di “Prendi e mangia”, percorso itinerante di lettura biblica dialogata, promosso dall’Ufficio Catechistico Diocesano - settore dell’Apostolato Biblico di Pesaro.
Sabato 13 Dicembre, nell’affollata Chiesa di Cristo Re, il biblista don Antonio Nepi ha commentato il libro del profeta Giona (“Lontani da chi? Lontani siamo noi”), dialogando con due letterati e scrittori pesaresi, Paolo Teobaldi e Goffredo Pallucchini. La lettura “intensa e vibrante” (come l’ha definita lo stesso don Antonio) di Lucia Ferrati ha ricevuto un’ancor più forte suggestività dall’accompagnamento musicale dell’organista Giuliana Maccaroni.
Il “taglio” dell’incontro è stato diverso dal precedente: il testo biblico è stato accostato questa volta come un testo letterario, come “radice (per usare le parole del poeta inglese William Blake ‘rubate’ poi dal critico Northrop Frey) del grande codice culturale dell’Occidente”.
Quest’ ottica non ha escluso una lettura anche teologica della figura di Giona, perché “il letterario, ha detto il relatore citando Lutero, non solo non esclude, ma conduce al veramente teologico”. Del libro in oggetto è stata così operata un’analisi “contenutistica” (per recuperarne il messaggio sapienziale) e nello stesso tempo “formale” (per gustarne la bellezza): due aspetti peraltro mai completamente scindibili in un testo. Nel racconto (che evoca altri generi letterari, quali la novella, la leggenda, la favola, il mito, la parabola) la figura di Giona si staglia come la più sovversiva dei personaggi del Vecchio Testamento: un profeta non solo “controvoglia”, ma ribelle e testardo, che fa di tutto per affondare la missione affidatagli da Dio: andare a Ninive, la grande città nemica storica di Israele, per convertirne gli abitanti e liberarla dalla sua malvagità. Giona non vuole obbedire. La sua ottica è miope, gelosa, egoistica: da buon Israelita ortodosso non tollera che Jahvé possa donare il suo perdono ad una città pagana, per di più ferocemente anti-israelita; vorrebbe rivendicare per il suo popolo il monopolio della misericordia divina; non accetta che Dio possa “contraddirsi”, passando dalla vendetta al perdono. Il profeta cerca infantilmente di sottrarsi al suo compito; si isola (“dorme” sulla nave durante una tempesta, si rifugia in una capanna lontano da Ninive) fino al punto da preferire la morte pur di disobbedire e non rassegnarsi all’avvenuta conversione della città. Ma Dio, attraverso una dosata pedagogia sapienziale (simbolicamente raffigurata dal ventre di una balena e da una pianta di ricino) lo spinge a vivere fino in fondo le sue contraddizioni, a comprendere i suoi limiti, offrendogli sempre la possibilità di convertirsi, cioè di allargare lo sguardo e liberarsi dal suo auto accentramento. Non sappiamo se Giona ci riesce. Il racconto, infatti, ha una “conclusione aperta”, come ha detto Umberto Eco, si chiude cioè con una domanda: ”Non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale sono più di centoventimila persone…e una grande quantità di animali?”. E’ una domanda che Dio rivolge a Giona, ma anche ad ogni lettore, invitandolo a entrare nella Sua logica di totale gratuità, a prendere posizione di fronte al Suo Mistero di Grazia. L’originalità del Libro consiste nella sottile, irridente ironia che lo attraversa (e che non ci aspetteremmo nella Bibbia, ha detto il prof. Pallucchini): quasi un “dimensionamento della profezia”, un “gioco” di Dio, che ci invita a non contare troppo sulle “qualità” del profeta, perché il primato spetta a Lui, alla Sua Parola, che si realizza attraverso - ma anche “nonostante” - gli uomini. “La Bibbia è un testo incredibile anche per chi non ha fede o per chi ha un’altra fede”, ha detto il prof. Teobaldi. “Anche per chi l’accosta con le categorie con cui si avvicina a Omero o a Dante”, gli ha fatto eco il prof. Pallucchini: “Jahvé, secondo il critico statunitense Harold Bloom, è un personaggio così complesso e grandioso da battere persino Shakespeare”. Lo stile favoloso e grottesco, le corrispondenze e simmetrie, le sospensioni e le ellissi, l’intertestualità, la polisemia del linguaggio (che rende così “rischiosa” la traduzione, ha sottolineato il prof. Teobaldi rifacendosi alla sua esperienza di traduttore) sono altri ingredienti del perenne fascino che il libro di Giona ha esercitato su artisti e scrittori: da Collodi a Melville a Pavese. La Bibbia insomma è veramente “il grande codice della cultura occidentale” e possiede una ricchezza teologica, letteraria e umana così grande che, ogni volta che si legge, non cessa di stupire. Paola Campanini Arcidiocesi di Pesaro Ufficio Comunicazioni Sociali, Cultura e Stampa Via Rossini, 62 61100 Pesaro Tel. 0721 30043 Fax 0721 32422 E-mail: Indirizzo e-mail protetto dal bots spam , deve abilitare Javascript per vederlo
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