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Mons. Coccia per la Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro PDF Stampa E-mail
martedì 13 ottobre 2009
È stato il Presidente Gianfranco Sabatini, insieme ai padroni di casa Walter ed Emanuela Scavolini, ad accogliere, nello splendido scenario di Villa Montani a Ginestreto (Pesaro), i membri della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro per il consueto ritrovo annuale di riflessione sulla identità e sul ruolo delle Fondazioni.
Insieme ai componenti del Consiglio di Amministrazione, del Consiglio Generale e dei Gruppi di lavoro, erano presenti anche il Presidente della Banca delle Marche, dott. Michele Ambrosini e il prof. Antonio Bogliolo, Rettore uscente dell’Università di Urbino.
A tenere una relazione è stato invitato, oltre al dott. Antonio Pattuelli Presidente della Cassa di Risparmio di Ravenna, S.E. Mons. Piero Coccia, che ha parlato della Fondazione nel contesto dell’ultima Enciclica di Papa Benedetto XVI “Caritas in veritate”.
Qual è il primo ruolo della Fondazione? – si è chiesto l’Arcivescovo.
Essere “soggetto esemplare” per il sistema bancario, fungere da “coscienza critica” affinché la Banca riscopra la sua vocazione originaria. 
Nell’art. 2 dello Statuto infatti, ha spiegato Mons. Coccia, si legge che la Fondazione persegue scopi di utilità sociale “in continuità” con la Cassa di Risparmio.
Ciò significa che nello Statuto non è sottesa la logica secondo cui la Banca dovrebbe essere interessata unicamente al profitto, mentre la Fondazione si dovrebbe occupare di ridistribuirlo nel sociale. È anzi affermato il contrario: lo scopo della Banca è “in continuità” con quello della Fondazione. Si presuppone quindi che anche la funzione della Banca sia “sociale”.
Questo, del resto, in origine era chiaro: nel M.E. la Banca nacque dall’idea di collegare risparmi e investimenti per aiutare le famiglie bisognose o per creare lavoro mediante il finanziamento di attività imprenditoriali. Furono addirittura i Francescani a inventare, nel ‘400, quella che si può considerare la prima forma di Banca popolare, i “Monti di pietà”, a sostegno delle persone che si trovavano nella necessità di denaro e non avevano altro che l’usura come alternativa.
Questa tradizione (continuata ad esempio con le Casse rurali, le Casse di Risparmio, la Banca edile) sta a testimoniare che è possibile mettere i profitti a servizio della comunità.
Il fatto che oggi siano le Fondazioni a svolgere questo servizio, però, è in un certo senso un campanello d’allarme: segnala il pericolo che la Banca, svincolata da ogni finalità sociale, persegua solo la massimizzazione del profitto a scapito dei diritti delle persone (già in una pubblicazione del 1942 l’economista Schumpeter aveva previsto questo pericolo). 
“Mi rendo conto - ha riconosciuto l’Arcivescovo – che i problemi oggi sono tanti, ma la Banca deve riscoprire la sua vocazione originaria e in questo la Fondazione può offrirle uno stimolo critico”.
 Non bisogna dimenticare che il Papa stesso invita nell’Enciclica a superare la dicotomia tra la sfera economica (presunta “cattiva”) e la sfera sociale (presunta “buona”), a superare la logica dei due tempi: prima si fanno i soldi, poi si pensa alla loro distribuzione. La socialità, la solidarietà, la fraternità devono “entrare” nell’economia, non starne fuori.
Ma il ruolo della Fondazione non si ferma qui.
La Fondazione è anche un “soggetto che produce capitale”. Certo non lo sarebbe, se si considerasse il capitale solo come un complesso di “denaro e di beni economici”. Ma questa concezione ottocentesca è ormai superata. Oggi si è compreso che il grande capitale di un impresa è il capitale umano (persone competenti, appassionate al lavoro, partecipi), il capitale relazionale (rapporti di fiducia tra persone, aziende e società), il capitale spirituale (persone guidate da senso di responsabilità e moralità). La Fondazione pertanto, quando dà il suo contributo all’Università, alla ricerca scientifica, alle attività culturali, svolge un ruolo decisivo nella produzione di questi capitali.
Inoltre, intervenendo direttamente o indirettamente a sostegno di realtà educative, sanitarie, assistenziali presenti nel territorio, fa un’opera preziosa di “sussidiarietà”, aiuta le iniziative della società civile frenando l’invadenza dello Stato.
La natura, la funzione, la “logica” stessa della Fondazione, ha concluso l’Arcivescovo, sono dunque in piena sintonia con la Dottrina Sociale della Chiesa, perché a fondamento del “bene comune” che la Fondazione promuove, c’è la persona, valore assoluto e inalienabile, fine ultimo a cui ogni attività umana deve essere volta.

Pesaro 5 ottobre 2009
 
Paola Campanini
 
 

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