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Nel mondo per l'umanità e la pace
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Il mondo in classe
Studenti stranieri alle prese con la lingua italiana: esperienze e storie di una classe molto particolare
Senigallia - C’è tanto mondo in una piccola classe dell’Istituto Alberghiero di Senigallia. I volti attenti, curiosi, desiderosi di conoscere una lingua che troppo spesso è stata motivo di incompresione, di distanza, di paura, ci fanno viaggiare, giusto nello spazio di una stanzetta, soprattutto ad Est e a Sud. Punti cardinali di una bussola che per migliaia di immigrati indica fisso a Nord - Ovest, il traguardo sognato da una vita, per il quale subordinare tutto: casa, affetti, qualche risparmio messo da parte a fatica. Sono i volti colorati di alcuni immigrati che vivono nel nostro territorio e che possono usufruire del progetto “E.D.A - Educazione permanente degli adulti” grazie al quale gli adulti, di qualsiasi età e condizione, possono conseguire la licenza elementare e media e proprio nell’ambito di questo percorso formativo sono attivi corsi per alfabetizzazione in lingua italiana per stranieri. Abbiamo incontrato gli studenti del corso base.

“C’è un’attenzione straordinaria, una dedizione commovente, una motivazione allo studio difficile da trovare nei giovani studenti delle nostre classi ‘normali’. È grandissimo l’impegno di queste persone che, magari dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro, si siedono tra questi banchi ed accettano, anche in età adulta, di riaprire i quaderni e di studiare una lingua, magari lontana anni luce dalla propria cultura, da ciò che negli anni ha rappresentato la loro quotidianità”. Chiara Ciceroni, insegnante di Lettere, sta vivendo con grande dedizione ed entusiasmo questo lavoro che ha di sicuro un “supplemento di gratificazione”. “È come essere, giorno per giorno, proiettati simultaneamente in diverse parti del mondo - aggiunge. Qui si incontrano vissuti sconosciuti, storie personali che si incrociano con grandi eventi e vicende collettive, sofferenze nascoste ed entusiasmi, piccole conquiste e desiderio di migliorare, migliorarsi”.

Bruna Pambianchi è un’insegnante elementare di grande esperienza. Da anni segue questo impegnativo settore e potremmo dire conosca uno per uno i singolari studenti ai quali fornisce gli strumenti basilari, indispensabili per affrontare la nostra lingua. “La maggior parte delle persone che frequentano questo corso base non era alfabetizzata nella nostra lingua. Ma da ottobre ad oggi i miglioramenti sono stati tanti e davvero consistenti. Proviamo a pensare, ad esempio, cosa significa per un cinese, passare da una struttura linguista ad ideogrammi e radicalmente diversa dalla nostra, all’italiano. E pensiamo anche che l’attività di studio, così impegnativa, si inserisce in giornate tutt’altro che leggere…”. Giuseppina Fattori, anche lei insegnante, insiste sulla ricaduta socialmente positiva di iniziative del genere: “Promuovere e conoscere queste realtà di impegno degli immigrati ci aiuta a realizzare, giorno dopo giorno, un’integrazione più vera anche nel nostro territorio.

La conoscenza profonda è l’antidoto migliore ad ogni forma di discriminazione”. “In Bangladesh non c’è lavoro, c’è tanta gente, la povertà è in crescita ed è per questo che ho deciso di venire qui”. A parlare è Jashim: fa il pescatore ed è in Italia con la sua famiglia. Da questo paese asiatico provengono anche Asharaf e Mahbulun, il primo lavora come domestico in una famiglia e l’altro come commerciante ambulante. La Cina è “rappresentata” da Jungfen (in Italia da tre anni, lavora in una fabbrica a Vallone) e il suo fratello più piccolo: ci raccontano dei difficili primi mesi nel nostro paese e di quanto sia ormai integrata, soprattutto a Ripe, la comunità cinese.

L’Est Europa più vicino, quello mandato in franutumi dalla sanguinosa guerra nella ex Jugoslavia, ha portato in Italia tanti profughi, alcuni fin dall’inizio dei primi combattimenti, come la signora Franja, croata, arrivata qui con la sua famiglia e poi rimasta, soprattutto per volere dei suoi due figli, studenti universitari in Italia. Accanto a lei, uniti da una storia ed una lingua comuni, divisi dalla nuova geografia, il signor Enver, di Sarajevo, Bosnia-Erzegovina. Sua moglie è a Senigallia da dieci anni, fuggita dall’inferno della città martire bosniaca. Lui, ingegnere, sarebbe rimasto in Bosnia ma vivere lì è sempre più difficile: la fabbrica in cui lavorava è stata distrutta e nuove prospettive economiche sono pressocché nulle. Tante storie dell’unica storia che ci vede tutti, vicini e lontani, cittadini di un mondo che ha un enorme bisogno di giustizia, di solidarietà. Qualche pagina di questa storia è anche su questi banchi.

di: Laura Mandolini

 

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