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Sabato 20 Ottobre 2007 - Amniocentesi: il moralista risponde

Un cristiano si interroga

Sono una signora di 38 anni al secondo mese della mia terza gravidanza. Il mio stato di salute è buono ed i figli avuti sono sani. Considerata, però, la mia età e sentendo anche il parere delle mie amiche sarei contenta di effettuare, per una mia maggiore tranquillità, l’amniocentesi. Secondo lei è giusto? Simile esame è da farsi? Come è considerata questa pratica dall’etica cattolica che, essendo praticante, intendo vivere?

Carissima Signora,
premetto che la risposta che segue ha un suo fine di carattere divulgativo e non teoretico. Pur sapendo che tale scritto non è destinato alle aule accademiche o a pubblicazioni in riviste specializzate, dobbiamo, però, porci di fronte alla questione con scientificità e rigore di metodo. Ciò implica qualche considerazione su ciò che si va a fare e, soprattutto, su chi si va ad agire.
L’amniocentesi si inserisce tra quelle metodiche di diagnosi prenatale invasive che hanno un loro tasso di rischio per la vita fetale; sappiamo tutti come, da tali metodiche, si possono, successivamente, verificare aborti con un tasso che risulta del 0,5-1,9%.
Il primo momento dell’indagine consiste nel prelievo tramite agoaspirazione ecoassistita o ecoguidata del liquido amniotico dove si trovano, in sospensione, cellule e materiale fetale. Successivamente il liquido aspirato viene adeguatamente trattato e, dopo circa un periodo di quindici giorni, si è in grado di riconoscere e di esaminare i cromosomi del feto stesso.
Nell’effettuare una valutazione etica di tale metodica vorrei considerare, in primis, i motivi che, oggi, sempre più spesso, spingono le donne a tale approccio e poi, cosa non secondaria, il rischio che tale pratica comporta.
Nella maggior parte dei casi il motivo è dato da un’ansietà che si genera per la paura di avere un figlio non sano; motivo che non è sufficiente per giustificare l’intervento in questione a meno che tale ansietà si basa su criteri precisi stabiliti dai documenti internazionali come ad esempio la presenza di un figlio già nato affetto da trisomia 21 o sindrome di Down (per la cui diagnosi prenatale oggi è possibile la translucenza nucale che è priva di invasività e quindi di rischio); la presenza di un figlio con grave difetto di chiusura del tubo neurale; la presenza di un figlio già affetto da malattia associata al cromosoma X ed altri. Quindi non un’emotività soggettiva, nevrotica ma un’ansietà dovuta a fatti oggettivi già riscontrati.
Non possiamo, in altre parole, provocare un rischio alla vita fetale solo perché la mamma è ansiosa; questo discende dal fatto che si tratta di un intervento fatto su di una persona; su di una vita umana, quella del feto, che non può, per nessun motivo, entrare in un ‘gioco di valutazione’ dove l’altro termine è la tranquillità materna; il criterio-guida che dovrà illuminare la nostra azione sarà quello della tutela, della salvaguardia, della promozione della vita nascente.
Importante è, poi, la considerazione del rischio dell’intervento che, in media, è del 1,5%. Ciò significa che su 100 amniocentesi un feto, circa, muore. Per renderci meglio conto di quello che significa tale percentuale di rischio facciamo un esempio ideale: potremmo dire che su 100 persone che vanno dal dentista una muore per anestesia (ripeto che si tratta solo di un esempio ideale il che non significa che si muore dall’odontoiatra); calcolando che un dentista vede 100 persone ogni quindici giorni potremmo dire che ne muore una ogni due settimane. Credo che nessuno di noi si sottoporrebbe a quell’anestetico. Rientrando dal caso ideale ci chiediamo: perché dovremmo sottoporre a tale rischio la vita fetale, quando noi non lo faremmo, e solo per motivi che sono banali? Si tratta di un rischio alto per il quale i dati vanno ben ponderati.
La posizione della bioetica personalista a cui ci ispiriamo è una posizione aperta alla diagnosi prenatale ma solo a determinate condizioni: nella consapevolezza che l’embrione ed il feto “è uomo”; con l’intenzione di recargli beneficio, terapia.
Indicazioni precise in materia ci vengono offerte dall’autorevole Magistero della Chiesa soprattutto in due documenti: nell’Istruzione ‘Donum Vitae’ della Congregazione della Dottrina della Fede riprese, poi, dall’Enciclica Evangelium Vitae di Giovanni Paolo II. Le indicazioni che qui troviamo sono davvero illuminanti:
“Tale diagnosi (prenatale) è lecita se i metodi impiegati, con il consenso dei genitori adeguatamente informati, salvaguardano la vita e l’integrità dell’embrione e di sua madre, non facendo loro correre rischi sproporzionati. Ma essa è gravemente in contrasto con la legge morale quando contempla l’eventualità, in dipendenza dei risultati, di provocare un aborto: una diagnosi attestante l’esistenza di una malformazione o di una malattia ereditaria non deve equivalere ad una sentenza di morte” (Donum Vitae, 2).
Nel raggiungere una conclusione, sulla base di quanto affermato, tali metodiche sono gravemente illecite se hanno come motivo solamente quello di conoscere lo status del feto per un eventuale aborto. Ciò che renderà lecita la sopportazione del rischio dell’intervento sarà solo la finalità terapeutica nell’interesse del feto stesso.
Sono presenti casi, in letteratura medica, in cui, grazie alla diagnosi prenatale, sono stati effettuati interventi intrauterini veramente terapeutici che hanno permesso, poi, la nascita di bambini sani.
Quindi, nel suo caso, è ovvio che non ritengo praticabile l’esame suddetto basandosi solo sulla sua emotività. Se è presente in lei la preoccupazione di un figlio affetto da sindrome di Down potrà effettuare la translucenza nucale che non è invasiva.
Cerchiamo di recuperare, contro la mentalità efficientista ed utilitarista dilagante, l’autentico valore della vita e della persona; ciò che la rende tale non è tanto una sua capacità fisica o intellettuale; la persona travalica, è più grande di una sua attitudine. Il valore dell’uomo è dato dal suo specifico essere e non dall’avere. La vita umana non vale di meno perché la fisicità è colpita da malformazioni.
Le consiglio, pertanto, di evitare l’amniocentesi vivendo un sereno atteggiamento di fiducia, fiducia nella vita, fiducia in Dio che si prende cura della sue creature e che sa come far concorrere tutto al nostro bene, quello vero.

don Giorgio Giovanelli
E-mail: dongiorgiogiovanelli@libero.it


Sacerdote dal 2001 è incardinato nella Diocesi di Fano-Fossombrone-Cagli e Pergola.
Nel 2003 consegue la Licenza in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana di Roma.
Perfezionato in Bioetica, nel 2004, presso l’Istituto di Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Roma, consegue, nel 2006, il Dottorato in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana con una Dissertazione concernente la medicina di inizio vita.
E’ Consulente Etico del Consultorio Diocesano familiare dal 2004.
Dal 2007 è Professore Invitato di Etica Sessuale, matrimoniale e familiare presso l’Antonianum di Bologna.
Dal 2007 Membro del Centro diocesano di Bioetica.
Presta il suo servizio pastorale presso la Comunità di Orciano di Pesaro dall’agosto 2001 con una particolare attenzione alla pastorale giovanile anche delle parrocchie limitrofe.
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