Padre Raniero Cantalamessa sull'Eucarestia, nella Cattedrale di Pesaro |
martedì 07 giugno 2011 | ||||||||||||||||||||
“L’Eucaristia non è un tema, ma una persona. Non si può parlare dell’eucaristia senza prima compiere l’atto di fede che colui di cui parliamo è risorto e vivo, presente non solo nel tabernacolo ma anche qui in mezzo a noi”.
Padre Raniero Cantalamessa fin dall’incipit del suo intervento in Cattedrale dello scorso venerdì 3 giugno ha dato prova di quella “sorprendente immediatezza di linguaggio e profondità di riflessioni” che l’Arcivescovo Piero Coccia, presentandolo alla folla di fedeli convenuti, gli ha riconosciuto. “Maestro buono”, dedicatosi alla predicazione dopo anni di docenza all’Università Cattolica di Milano, notissimo anche al pubblico televisivo, padre Raniero è stato invitato per preparare l'Arcidiocesi di Pesaro sia al Congresso Eucaristico Nazionale, che si svolgerà ad Ancona il prossimo settembre (dal 3 all’11) sia al Convegno diocesano “L’Eucaristia educa la famiglia”, che seguirà poco dopo (16-17 settembre). Queste iniziative, ha detto il padre cappuccino, sono tutte circostanze che educano la Chiesa a recuperare lo “stupore eucaristico” (come scriveva Giovani Paolo II), a porsi in un atteggiamento sempre nuovo di fronte a quel “mistero tremendo e affascinante” che è appunto l’eucaristia, ultimo gradino di quella “condiscendenza di Dio verso l’uomo”, mossasi originariamente con la creazione. Rendere vivo, attuale e concreto questo mistero è stata dunque intenzione e cura di padre Cantalamessa. E lo ha fatto ripercorrendo, secondo il modello della catechesi mistagogica (che nella chiesa bizantina introduceva i neobattezzati, nella settimana dopo Pasqua, ai sacramenti dell’iniziazione cristiana) i tre momenti fondamentali della Santa Messa, “mistagogia” per eccellenza nel suo condurre i fedeli dentro il mistero di Dio e nel rendere tale mistero presente e manifesto all’uomo. Partendo dalla liturgia della parola, padre Raniero ha spiegato che essa non è semplicemente “racconto”, ma presenza viva della Parola di Dio, che ogni volta si svela con aspetti nuovi perché si incarna in situazioni e in tempi nuovi: i fedeli quindi non sono passivi ascoltatori, ma attori e protagonisti di questa liturgia, proprio come i discepoli di Emmaus, che nell’ascoltare le parole di Gesù sentivano ardere intensamente il loro cuore rattristato. Anche la liturgia eucaristica, che sembrerebbe appartenere in modo esclusivo al sacerdote, coinvolge invece, personalmente e attivamente, anche i laici. Nell’offerta del pane e del vino, infatti, tutta la creazione si presenta all’altare, perché nel pane e nel vino ci sono la terra, l’acqua, il sole, la luce, il lavoro dell’uomo. E ugualmente nel sacrificio di Gesù che dona il suo corpo, cioè la sua vita, è presente tutta la nostra vita: capacità fisiche, morali, intellettuali, ma anche insuccessi, sofferenze, malattie. Così che i nostri stessi corpi diventano sacrifici viventi, cioè eucaristia. Nella comunione infine, ha concluso padre Cantalamessa, questa unità si fa ancora più stretta, perché scompare quella differenza di ministero tra sacerdote e laici che permane nella liturgia della parola (è il sacerdote che insegna) e in quella eucaristica (è il sacerdote che consacra). Nella comunione invece tutti partecipano di un unico pane e formano un unico corpo: l’eucaristia che riceve il papa è la stessa che riceve l’ultimo battezzato. Addirittura, attraverso l’eucaristia, Gesù, che umanamente non ha fatto tutte le esperienze possibili (non è stato donna, ad esempio, né madre né vecchio) si arricchisce di un “supplemento di umanità” grazie alle nostre esperienze, che diventano sue. E così il nostro amare, il nostro donarci, il nostro offrire la vita - tanto incostanti, limitati e spesso anche inefficienti – vengono innestati nell’amore infinito di Dio, la sola via possibile perché acquistino una preziosità (di valore, di utilità, di significato) assoluta. Pesaro 6 giugno 2011
Paola Campanini
Arcidiocesi di Pesaro
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