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Mons. Pompili: la rete modifica « l'esperienza umana » PDF Stampa E-mail
venerdì 20 maggio 2011
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Foto di Roberto Gregori

(Macerata) – “La rete non copre tutta la realtà anche se ne modifica in profondità l’esperienza umana, al punto che non possiamo non dirci ‘abitanti digitali’”. Così mons. Domenico Pompili (in foto al centro), direttore dell’Ufficio per le comunicazioni sociali (Ucs) e sottosegretario Cei, ha esordito oggi pomeriggio a Macerata nella sua relazione d’apertura del convegno “Abitanti digitali”, organizzato da Ucs e Servizio informatico della Cei (Sicei). “A distanza di un anno da ‘Testimoni digitali’ – ha richiamato mons. Pompili – è dunque necessario per la Chiesa mantenere lo sguardo vigile e il cuore aperto rispetto ai mutamenti in corso. Per poter parlare a questo tempo infatti, non si può guardare dallo specchietto retrovisore, come ammoniva McLuhan. Occorre con curiosità e lucidità penetrarne i linguaggi e le forme, valorizzandone le possibilità e contenendone i rischi. Si tratta di ripensare e reinterpretare il legame, antico e sempre nuovo, tra la tecnica, la verità e libertà”. I media digitali, ha sottolineato citando l’enciclica “Caritas in veritate”, non sono “puri ‘strumenti’, ‘devices’, ma possono diventare ‘opere che recano impresso lo spirito del dono’, e che consentono d’intraprendere un cammino di ‘relazionalità, di comunione e di condivisione’”.

Oggi, ha aggiunto mons. Pompili, “il medium è il messaggio, e i media da strumenti diventano ambiente dove cambiano le condizioni della nostra esperienza”. Un esempio di questo cambiamento? “L’impatto dell’introduzione del microfono sulla liturgia”, che “ha modificato l’ambiente comunicativo in un modo così profondo da sollecitare la riformulazione della liturgia stessa”. La sua introduzione, ha sottolineato Pompili, “da un lato ha coinciso con l’abbandono del latino” e “la diffusione del vernacolo”; dall’altro “all’avvento del microfono corrisponde anche il rivolgersi dell’officiante verso i fedeli, anziché verso l’altare”. In secondo luogo, il rapporto “tra orizzontalità e verticalità” in un contesto di “ambienti discontinui”. Un esempio, qui, è “la campana”. “Nei villaggi rurali, ma anche nelle città, la campana – ha ricordato il portavoce Cei – delimita infatti un territorio i cui confini coincidono con l’udibilità del suono”. Ma “se lo spazio del villaggio era audio-visuale (la campana sta sul campanile, il suono ha una posizione riconoscibile e si diffonde da un centro), oggi lo spazio digitale è pienamente audio-tattile”; “la possibilità di essere perennemente connessi, anche nella mobilità, taglia i confini spaziali che demarcano le diverse situazioni e rende i contesti della nostra vita quotidiana sempre simultaneamente accessibili, quindi compresenti”.

“La sfida della cultura digitale – ha quindi proseguito mons. Pompili – implica la possibilità di andare oltre, di aspirare a qualcosa ‘di più’ rispetto a quanto la tecnica rende disponibile: passare dai dispositivi manipolabili (e manipolanti) all’ambiente abitabile; dalla manifattura del proprio profilo a un’identità relazionale; dalla connessione alla comunione”. Da qui una riflessione sull’“abitare il web”. “Abitare – ha ricordato il portavoce della Cei – è tipicamente umano” perché “presuppone un rapporto consapevole, fatto di scelte, e responsabile, fatto di relazioni con l’ambiente e con le persone”. “Abitare – ha rimarcato – è più che risiedere: il residente occupa un mondo fabbricato da altri”, mentre chi abita ha “a che fare con la questione del senso, dell’identità, della relazione”. Ma come abitare il web, “spazio senza campanili”? “Rispetto agli spazi che storicamente siamo usi abitare, quello digitale – ha riconosciuto – è uno spazio orizzontale, senza sporgenze, senza gerarchie, fatto di relazioni alla pari; uno spazio totalizzante, senza un fuori e un sopra; uno spazio abilitante, ma anche limitante” Tuttavia proprio “la rete, se si va al di là della logica del dispositivo, può essere il luogo in cui tentare la ‘nuova sintesi umanistica’. A partire dal modo di abitare”.

Chiesa, testimone, alleanza sono i concetti chiave che il direttore dell’Ucs ha associato all’“abitare” la rete. “Oggi – ha detto in riferimento alla Chiesa – diventa necessario mutare prospettiva: da un lato capire che occorre invertire il movimento, tornando a farsi prossimo, a incontrare”. “Dall’altro lato, recuperare non solo la parola, ma tutta quella capacità comunicativa che storicamente la rendeva profondamente inserita nella vita della comunità e capace di costruire spazi a misura d’uomo, nel senso più pieno. Come la voce della campana”. In secondo luogo il testimone, “figura multirelazionale” che “sa interpretare l’ambiente; sa entrare in relazione con le persone perché sa prima di tutto ascoltarle; è in relazione con la verità che ha conosciuto perché ha toccato la sua vita, e dunque gli consente di parlare”. “La vera sfida – ha evidenziato – è oggi dunque quella della trascendenza: essere pienamente dentro, ma affacciati su un altrove; essere ‘nel web’, ma non ‘del web’”. Infine “l’alleanza”, “oggi quanto mai necessaria, in tutti gli ambiti”. “Per abitare il web è necessaria una ‘alleanza intergenerazionale’ tra nativi (che sanno muoversi velocemente ma non sanno dove andare) e immigrati digitali”. “Allargare lo spazio dell’alleanza – ha concluso – significa valorizzare le occasioni di condivisione e convivialità che oggi si moltiplicano”. 

 

Pubblicato in www.agensir.it External link
Giovedì 19 Maggio 2011
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